Titolo: LA CONTESSA NERA (The Countess)Autore: REBECCA JOHNSAnno: 2010Edizione italiana: GARZANTI, 2011Traduzione: CLAUDIA MARSEGUERRACopertina: MELANIE DELONISBN: 978-88-11-67034-6Pagine: 324Il mito del vampiro è stato alimentato dalle leggende che circondano due personaggi realmente esistiti: il primo è Vlad Tepeş, che ha ispirato Bram Stoker per
Dracula, il secondo è la Contessa Erzsébet Bàthory, passata alla storia come la più crudele assassina di tutti i tempi.
I documenti storici la mostrano come una donna ossessionata dalla bellezza che, per proteggere la sua pelle dall’invecchiamento, faceva il bagno nel sangue di ragazze vergini, uccise da lei stessa, con l’aiuto di pochi servitori, nei sotterranei del suo castello. La leggenda della Contessa Bàthory ha ispirato anche i fratelli Grimm per il ruolo della matrigna di Biancaneve.
Nei tempi moderni il nome di Erzsébet Bàthory compare nell’elenco delle biografie dei più famosi serial killer della storia, in opere di saggistica a lei dedicate, è un personaggio dei
Diari della Famiglia Dracula di Jeanne Kalogridis e, insieme a Gilles de Rais (diventato il Barbablù delle favole), è la protagonista del romanzo
La Contessa Sanguinaria di Valentine Penrose.
Queste opere sono prevalentemente incentrate sulla crudeltà di questa donna, vissuta in Ungheria dal 1560 al 1614, trattando marginalmente il suo ruolo di nobildonna in un periodo storico ove l’Ungheria era contesa dall’Impero Asburgico e minacciata dall’avanzata turca.
Il tentativo di “umanizzare” questo mostro leggendario è stato attuato da Rebecca Johns nel romanzo
La Contessa Nera, edito in Italia da Garzanti e disponibile in libreria da febbraio 2011.
Erzsébet Bàthory, dopo essere stata arrestata dal Conte Palatino Thurzò, è rinchiusa nella torre del castello di Csejhte: la stanza dispone di un unico pertugio dal quale i carcerieri fanno passare i pasti, la porta è stata murata. La nobildonna è profondamente afflitta per essere stata accusata ingiustamente e, soprattutto, perché non può vedere l’adorato figlio Pàl. Proprio al figlio sono destinate le lettere che compongono il romanzo, nelle quali racconta la sua storia.
Erzsébet ricorda l’infanzia felice trascorsa a Ecsed, quando era una ragazzina ribelle che amava immergersi nelle letture dei filosofi contemporanei e andare a cavallo: un’infanzia breve, presto troncata dalla morte del padre, dalla depressione che colpì sua madre e dall’imminente matrimonio con Ferenc Nàdasdy.
A quattordici anni, Erzsébet si trasferisce a Sàrvàr presso la suocera, che la educa a essere una buona moglie per il suo unico figlio che, per il momento, si trova a Vienna a studiare. Durante il viaggio Erzsébet incontra Anna Darvulia, che diventerà la sua serva e confidente, allietandole il pesante soggiorno a Sàrvàr.
Erzsébet fa di tutto per compiacere l’anziana suocera ed entrare, quindi, nelle grazie di Ferenc, ma, quando il futuro marito torna a casa, non la degna della minima attenzione. A consolarla ci pensa Andras Kanizsay, un cugino di Ferenc, con numerose visite notturne nella stanza della Contessa. Col protrarsi di questi incontri avrà luogo una gravidanza che causerà l’abbandono di Andras. La contessa è di nuovo sola, senza il suo amante e senza la sua bambina, abbandonata per evitare scandali.
L’insubordinazione e le chiacchiere del personale di servizio portano Erzsébet a prendere una posizione, e una serva viene punita severamente: è spogliata dei suoi abiti e sul suo corpo è spalmato del miele per attirare gli insetti. Ferenc torna a casa in tempo per vedere la serva agonizzante e si complimenta con la moglie per la sua capacità di mantenere la disciplina. Gli sposi finalmente diventano complici e, dopo un periodo d’infertilità, riusciranno ad avere figli.
In seguito a una battaglia contro i turchi invasori, Ferenc torna a casa con una ferita che si complicherà portandolo alla morte. L’uomo le chiede di risposarsi dopo la sua dipartita, proponendo Thurzò come candidato ideale. Erzsébet inizia una relazione con quest’uomo, però Thurzò la lascerà per una consorte più giovane.
La servitù è vittima del malumore della contessa e molte ragazze soccombono alle punizioni inflitte dalla padrona, al punto che il parroco rifiuta di seppellirle nel cimitero. La Contessa trova un complice e un amante nel maggiordomo ma, quando anch’egli la tradisce con una serva, Erzsébet dà nuovamente sfogo alla sua furia, accanendosi sulla poverina fino a perdere contatto con la realtà.
È in questo momento che Thurzò la scopre e la fa arrestare. Inizia così la lenta agonia della Contessa Bàthory, murata viva nella sua cella fino alla fine dei suoi giorni.
Rebecca Johns ci mostra una donna vittima delle consuetudini della sua epoca: i matrimoni combinati erano all’ordine del giorno e doveva essere davvero frustrante essere promessa a un uomo che preferiva ingravidare le serve.
Erzsébet è costretta a vivere con una suocera “all’antica”, che le fa sacrificare le sue passioni a favore del ricamo ma, nonostante tutto, la ragazza si mostra devota e accomodante. In segreto continua a leggere, dimostrandosi una donna moderna nata nell’epoca sbagliata.
Una volta diventata Signora del Castello è un suo dovere mantenere la disciplina e il rispetto della servitù. Non è giustificabile la sua efferatezza, però è comprensibile: essere oggetto di chiacchiere e pettegolezzi da parte di donne che, grazie alla sua magnanimità, hanno un tetto sulla testa, è inaccettabile; così come avere sotto gli occhi l’evidenza del tradimento del marito. Le scene delle torture inflitte a queste donne povere e ignoranti però vanificano, in parte, il tentativo di smorzare la fama di crudeltà della protagonista, e nelle sue azioni emerge un che di psicotico comune a molti assassini seriali.
Un aspetto toccante è quello concernente la Contessa madre, l’affetto con cui parla dei figli e lo struggimento per averne persi tre è reso con la dovuta enfasi da parte dell’autrice.
Altrettanto efficaci sono i momenti dove la Contessa s’interessa di magia nera, interesse motivato dall’essere stata tradita e dal desiderio di avere la giusta vendetta.
L’ossessione della bellezza, che accompagna la contessa nel corso della sua esistenza, è evidente già dalle prime pagine, una bellezza che diventa una maledizione e che vediamo offuscarsi nel corso del tempo nelle considerazioni, espresse da Erzsébet, nelle lettere diario che scrive al figlio. Pàl è affidato a un tutore che non è in buoni rapporti con la Contessa Bàthory, non è escluso che queste lettere vogliano dissuadere il ragazzo dalle idee inculcategli dal tutore stesso.
L’autrice ha fatto un lavoro eccellente nell’evocare la società del tempo, il romanzo è scritto in modo scorrevole ed è avvincente al punto di rendere difficile sospenderne la lettura. Accanto alla storia della Contessa sono descritte anche le condizioni della sua prigionia, portando puntualmente il lettore al presente per poi immergerlo nel passato.
Il pregio di Rebecca Johns è di essere riuscita a far schierare i lettori che non la conoscevano dalla parte della Contessa Bàthory e facendo, per qualche momento, dimenticare, a chi conosce la storia della contessa attraverso altre fonti, vergini di Norimberga e vasche da bagno colme di sangue.
Risorse Web:
Sito di Rebecca JohnsCasa editrice Garzanti