domenica 26 ottobre 2014

Tom Holland, "Il Vampiro. La Storia Segreta di Lord Byron"

Titolo: IL VAMPIRO. LA STORIA SEGRETA DI LORD BYRON (“The Vampyre, the Secret History of Lord Byron” aka “Lord of the Dead”)
Autore: TOM HOLLAND
Anno: 1996
Edizione italiana: TRE EDITORI, 2010
Traduzione: ALESSANDRO ZABINI
Copertina: MARCO LEGA
ISBN: 978-88-86755-59-7
Pagine: 376
L’orientalista Rebecca Carville è sulle tracce del perduto manoscritto delle memorie di Byron. Nella cripta della cappella di St. Jude, dove è sepolto il suo antenato Lord Ruthven, Rebecca vede uscire da una tomba una cosa antica e avvizzita, con occhi gialli e seni raggrinziti. Caduta in deliquio, la studiosa si ritrova in strada e al mattino viene condotta da Ruthven: capelli ricci e neri, pallore etereo, lineamenti delicati, è niente meno che un giovane Lord Byron. Il poeta le spiega che non esiste alcuna copia delle sue memorie e si fa convincere a raccontarle la sua storia.

Annoiato dalla vita in Inghilterra, Byron partì per un viaggio sul continente con l’amico Hobhouse. Dopo aver visitato Portogallo, Spagna, Malta e Grecia, i due inglesi proseguirono verso Giannina, per far visita ad Alì, pascià di Albania. Persa la scorta a causa di un attacco di vardoulacha, continuarono il viaggio con il vecchio Gorgiou, e i figli Petro e Nikos. Durante la notte, Byron sentì raschiare alla finestra e scoprì Nikos chino su Hobhouse: il giovane gli confessò di essere schiavo di un vardoulacha turco e poi cercò di sedurlo, ma Byron lo licenziò garbatamente.
A Giannina, Byron si imbatté in un uomo alto e pallido, con mustacchi bianchi e barba, naso adunco e occhi saggi e sofferenti. Era il temuto Vakhel Pascià, uno studioso che si mormorava avesse venduto l’anima a Eblis, principe degli Inferi. Vakhel si ritrovò poi con l’inglese alla corte di Alì Pascià, dove chiamò a danzare la bellissima Haidée: il poeta riconobbe Nikos, che aveva creduto un uomo e che ora si rivelava in tutta la sua femminilità. Occhi neri, labbra rosse, movimenti divini, Haidée conquistò Byron, che accettò di buon grado l’invito di Vakhel al suo castello, ad Acheronte.
Il poeta giunse così in un maniero che sembrava uscito dai suoi sogni più inquietanti, tra sculture mostruose e mosaici blasfemi, tra scalinate verso gli inferi e servitori dagli occhi morti. Vakhel lo corteggiava e gli appariva in sogno per convincerlo a seguirlo nelle «grotte della morte»: era lui il vardoulacha tanto temuto da Gorgiou e dai figli. Haidée era sua schiava e aveva il compito di farsi deflorare dal poeta.
Dopo aver assistito a una caccia “tolstojana” ed aver superato indenne un villaggio infestato dai vardoulacha, l’inglese portò in salvo l’amata. Giunti sul lago Trihonida, Byron e Haidée finalmente si amarono.



Ma la felicità degli amanti durò poco, perché presto vennero trovati da Vakhel: Haidée fu portata via per essere giustiziata e Byron venne trasformato in vampiro.
Dopo aver ottenuto la sua vendetta, Byron si riunì a Hobhouse e continuò il suo viaggio, per poi rientrare in Inghilterra, dove amoreggiò con la possessiva Lady Caroline Lamb e poi con la sua stessa sorellastra Augusta.
Saputo che il suo stato di vampiro lo avrebbe portato a un rapido invecchiamento, a meno che non avesse bevuto il sangue di un parente, Byron si propose di avere un figlio. Prima ebbe Ada, con Annabella, e poi Allegra con Claire, la sorella Mary Shelley. Ma non ebbe il cuore di far del male a nessuna delle due.
Ormai circondato da una pessima fama, Byron decise di lasciare l’Inghilterra e assunse un medico personale esperto nelle scienze più oscure: il suo nome era Polidori. Byron si ritrovò in Svizzera con Mary e Claire, e conobbe Shelley, con cui nacque una profonda amicizia. Durante quel soggiorno ci fu anche una fatidica serata a Villa Diodati, in cui gli artisti presero a leggere storie di fantasmi e si sfidarono a scrivere storie spaventose.
Il rapporto con Polidori era difficile: geloso, vanitoso e con grandi ambizioni letterarie, il medico era in competizione con il grande poeta, che finì per trasformarlo in vampiro. Byron credette di sbarazzarsene dandogli dei soldi e si stabilì a Venezia, portando avanti un’incostante amicizia con Shelley. Finché Polidori, ufficialmente suicidatosi con una dose di acido prussico, mise in atto la sua perfida vendetta, prendendosela con Allegra. Byron poi tornò in Grecia per sostenere la causa della rivoluzione, ma si trovò a fare i conti con il suo passato e con la sua eredità di Re dei Morti.



Per un appassionato, leggere un resoconto romanzato delle vicende di Byron e Polidori, di Shelley e di Villa Diodati, per di più in chiave vampiresca, è davvero un’esperienza divertente e coinvolgente. A tratti l’autore sembra quasi sfidare il lettore a cogliere un riferimento, una citazione, un episodio della vicenda biografica dei protagonisti.
Holland, infatti, qui disegna un fitto mosaico di citazioni tra storia e letteratura: sono chiari i riferimenti a Il Vampiro di Polidori, al Don Giovanni, a Il Giaurro (la vicenda e la morte di Haidée) e al Frammento (la sosta nel cimitero con Hobhouse) di Byron; ma Holland pesca anche dal Vathek di Beckford (Vakhel e il suo castello), da I Vurdalak di Tolstòj (l’episodio di Gorgiou), dal Dracula di Stoker (ancora il misterioso castello di Vakhel, l’accoglienza dell’ospite e lo stesso vampiro) e dai romanzi di Anne Rice (il “racconto-intervista” di Byron, la descrizione delle sue sensazioni dopo la trasformazione).
Probabilmente, però, un lettore sprovvisto del background richiesto difficilmente può apprezzare un’opera simile. Per di più, l’autore, nell’ansia di completezza, mette troppa carne a cuocere, intessendo una trama fin troppo fitta e intricata.
La prosa è a tratti pesante e ridondante, altrove è più riuscita e avvincente: in particolare nell’incipit, con l’incursione di Rebecca nella cripta in una sorta di profanazione, e nell’avventurosa fuga di Byron e Haidée. Riusciti i personaggi di Vakhel e di Haidée, meno quello di Byron, che ha forse un po’ troppo del Louis di Anne Rice.
In ogni caso, questo Vampiro di Holland è un’opera notevole, un romanzo denso e intrigante, a cui va dato il merito di aver finalmente tolto la maschera di Ruthven a Lord Byron, colui che ha fatto da modello per la creazione del vampiro moderno.

Risorse Web:
Sito dell’autore
Tom Holland su Wikipedia
Tre Editori
 

sabato 18 ottobre 2014

Charlaine Harris, "Morti Per Sempre"

Titolo: MORTI PER SEMPRE (Dead Ever After)
Autore: CHARLAINE HARRIS
Anno: 2013
Edizione italiana: DELOS BOOKS, 2013
Traduzione: ANNARITA GUARNIERI
Copertina: n.i.
ISBN: 978-88-6530-269-9
Pagine: 360
Con Morti Per Sempre, pubblicato da Delos nella collana “Odissea Paranormal” (nata dalla fusione di Odissea streghe e Odissea vampiri), siamo giunti all’epilogo di una delle saghe vampiriche che, negli ultimi anni, hanno riscosso maggior successo, anche grazie alla realizzazione del telefilm True Blood di Alan Ball, del quale stanno andando in onda in Italia le puntate della settima e conclusiva stagione.

Da quando Sookie ha incontrato Bill al Merlotte’s, la sua vita è cambiata. Pur vivendo bei momenti accanto alle creature soprannaturali, per le quali la sua telepatia non costituiva un problema, è stata protagonista e spettatrice di omicidi, rapimenti, torture e violenze di ogni genere e, se prima poteva ostentare una certa tranquillità, adesso deve stare in guardia da nemici vecchi e nuovi che sono pronti a tutto per liberarsi di lei.
A New Orleans c’è chi ha venduto l’anima al diavolo, e non è una metafora, per vendicarsi della cameriera di Bon Temps. Il primo pedone da muovere in questa partita a scacchi sembra Arlene, l’ex collega e amica di Sookie che, attualmente, sta scontando una pena in carcere.
A Bon Temps Sookie continua a chiedersi che ne sarà del suo matrimonio con Eric ora che è arrivata Freyda. Sookie non può neanche sfogarsi con Sam che, tornato in vita grazie al cluviel dor, si comporta in modo molto strano.
Dopo essere stata rilasciata, Arlene torna al Merlotte’s e, fingendo una sentita contrizione, chiede a Sookie di essere assunta come cameriera, ma la sua domanda è educatamente respinta. Gli uomini che l’hanno fatta uscire dalla prigione ordiscono quindi un nuovo piano: la mandano a casa di Sookie a recuperare un oggetto personale.
Per aiutare Sam a uscire dalla sua apatia, la protagonista chiama la madre del mutaforma; sembra che la signora abbia un buon ascendente sul figlio, che presto torna al lavoro, dove lo aspetta una macabra scoperta: nel cassonetto del Merlotte’s c’è il cadavere di Arlene che ha, stretta intorno al collo, una sciarpa appartenuta a Sookie.
Una sera Sookie è invitata a raggiungere Eric al Fangtasia dove, in presenza di Felipe de Castro, viene ufficialmente sciolto il loro matrimonio per poi celebrare, successivamente, quello fra il vampiro vichingo e la regina dell’Oklahoma. Comunque Eric non rinuncia a proteggere Sookie e chiama una delle sue figlie di sangue, Karin, affinché vigili sulla sua abitazione.
L’indomani la polizia si presenta alla porta di Sookie, l’arresta per l’omicidio di Arlene, e la conduce in prigione dove dividerà la cella con Jane Bodehouse, un’alcolista cliente abituale del Merlotte’s.
Al processo, la ragazza si commuove davanti al numero di persone che sono giunte per dimostrarle il loro affetto, ma la sorpresa più grande è costituita da Mustapha, il quale annuncia che Eric pagherà la cauzione stabilita per il suo rilascio. Le prove rilevate dalla polizia scagionano Sookie, ma non forniscono alcuna indicazione sull’identità dell’assassino.
Approfittando di un periodo di relativa pace, Sookie passa qualche momento d’intimità con Sam. Ma durante una serata, viene rapita e fatta salire su un furgone, dove ci sono il reverendo Newlin della Confraternita del sole, l’avvocato Glassport e il suo cugino fatato Claude. I rapitori, avendo fallito nel piano che prevedeva il sacrificio di Arlene, hanno in mente di ottenere ad ogni costo la loro vendetta.



Quest’ultimo volume, come l’autrice precisa in prefazione, termina secondo i suoi piani originali. La serie, infatti avrebbe dovuto essere più breve e probabilmente le implicazioni delle origini fatate di Sookie dovevano avere un peso inferiore, lasciando più spazio alle conseguenze pratiche e sociali dell’integrazione dei vampiri nella società americana.
In questo romanzo la narrazione non è esclusivamente in prima persona, l’autrice si allontana da Bon Temps e descrive i mefistofelici accordi dei “cattivi” usando la terza persona.
Non stupisce il fatto che la storia tra Sookie ed Eric finisca: quest’ultimo ha man mano assunto un ruolo sempre più marginale, perdendo parte del fascino guerriero che ha ammaliato le lettrici nei primi volumi (compresa l’esilarante battaglia in tuta di lycra rosa di Morti viventi). Coglie di sorpresa, invece, la nascita di un sentimento d’amore fra la protagonista e Sam.
La rimpatriata di amici vecchi e nuovi, tipica degli happy end americani, è ben realizzata e non abbassa la tensione delle vicende, che si mantiene palpabile fino alla fine.
Non sapremo come sarà la vita a Bon Temps nei prossimi anni, ma è facile immaginare Sookie che, insieme a Tara e Michelle, estrae dalle tasche dozzine di fotografie dei bambini che avrà con Sam mentre sono sedute dal parrucchiere e organizzano un barbecue per la serata.

Risorse Web:
Sito dell’autrice
Charlaine Harris su Wikipedia
Delos Books
 

venerdì 10 ottobre 2014

TuttoCarmilla

Riprendono questa sera a Torino le attività della Libera Università dell’Immaginario con il ciclo di seminari TuttoCarmilla, dedicati al noto romanzo breve di Joseph Sheridan Le Fanu (28 agosto 1814 – 7 febbraio 1873), di cui quest’anno cade il bicentenario della nascita.
Capitolo per capitolo, Franco Pezzini prenderà in esame con i suoi ospiti la vicenda, le suggestioni, i problemi sottotesto del romanzo. Tra ottobre e gennaio è calendarizzato il primo ciclo, “Et in Styria ego”, dal prologo fino al sesto capitolo. L’appuntamento è alle 19 presso l’enoteca trattoria Ostu, via Cristoforo Colombo 63, Torino.

Il programma del primo ciclo di appuntamenti:

Prologo: Gli arcani della nostra esistenza duale (10/10);
Cap.1: Una fantasmagoria circondata dalle tenebre (24/10);
Cap.2: E i cavalli sbandarono (14/11);
Cap.3: Non potrei dimenticare il tuo viso (28/11);
Cap.4: Da quei folli abbracci (12/12);
Cap.5: Al di sotto era scritto A.D. 1698 (9/01);
Cap.6: L’amore vuole avere sacrifici (23/01).


TUTTOCARMILLA – Primo ciclo: Et in Styria ego
Con Franco Pezzini

Dal 10 ottobre 2014 al 23 gennaio 2015, ore 19:00
Enoteca trattoria Ostu, via Cristoforo Colombo 63, Torino

Risorse Web:
Joseph Sheridan Le Fanu su Wikipedia
Scheda di Cercando Carmilla
TuttoDracula
Pagina Facebook della LUI
 

mercoledì 8 ottobre 2014

Joseph Sheridan Le Fanu, "Un Oscuro Scrutare"

Titolo: UN OSCURO SCRUTARE. IN A GLASS DARKLY (In a Glass Darkly)
Autore: JOSEPH SHERIDAN LE FANU
Anno: 1872
Edizione italiana: MIRAVIGLIA, 2011
Traduzione: LUCA MANINI, FABRIZIO FERRETTI
Copertina: MARZIA IANNUCCI
ISBN: 978-88-89993-15-6
Pagine: 464
Nel 2011, la Miraviglia Edizioni ha pubblicato Un oscuro scrutare, traduzione di In a Glass Darkly, la raccolta con cui nel 1872 Le Fanu propose per la prima volta in volume Carmilla. La pubblicazione è meritoria trattandosi della prima (e finora unica) edizione italiana integrale della raccolta (nonostante i racconti siano già comparsi singolarmente in varie antologie).
Tutti i racconti erano stati pubblicati precedentemente in rivista, ma raccogliendoli in volume Le Fanu li inserì nell’inedita cornice degli studi di Hesselius.

L’anonimo narratore e curatore è il segretario medico del defunto dottor Martin Hesselius, del quale sta riordinando i documenti per la pubblicazione. Tra i voluminosi appunti delle centinaia di casi trattati dal medico, il segretario ha scelto i cinque più significativi.

Tè verde (Green Tea): Durante un viaggio in Inghilterra, Hesselius conobbe il reverendo Jennings, gentile e riservato prelato di mezz’età, che gli confessò di essere ipocondriaco. Fu solo cinque settimane dopo che il reverendo raccontò a Hesselius la sua storia. Quattro anni prima, impegnato nella stesura di un libro sulla metafisica religiosa dei popoli antichi, per tenersi vigile durante il lavoro prese a consumare grosse quantità di tè verde. Una sera, rientrando a casa a tarda ora su un buio omnibus, scorse due riflessi rossastri e circolari. Avvicinandosi, scoprì che erano gli occhi di una scimmia completamente nera, ma priva di consistenza materiale e solo a lui visibile. Da allora, Jennings non riuscì più a liberarsi della scimmia, neanche durante la lettura dei testi sacri nelle funzioni. Secondo Hesselius, la persecuzione sovrannaturale fu dovuta proprio all’abuso del tè verde, che avrebbe facilitato il contatto con la realtà spirituale.
In questa storia l’autore ben rende il senso di impotenza e la disperazione prodotti dall’azione di uno «spirito infernale», una “peccaminosa” scimmia. Magistrale la chiusa medico-metafisica, in cui Hesselius dà una spiegazione convincente della malattia spirituale di Jennings, dovuta al deteriorarsi del “fluido” circolante tra cervello e nervi, e al conseguente aprirsi dell’«occhio interiore».



Il demone d’ogni giorno (The Familiar): Nel 1794, rientrato a Dublino, il Capitano della marina Sir James Barton s’innamorò della giovane e bella Miss Montague. Una sera, dopo una visita all’innamorata, il Capitano passò per una strada isolata e silenziosa, dove iniziò a sentire dei passi, come di qualcuno che lo seguisse. Si voltò, ma non vide anima viva. Riprese a camminare e i passi riprendevano dietro di lui, ma nessuno rispose alla sua voce. Nelle settimane seguenti, l’invisibile inseguitore lo tormentò più volte nelle sue passeggiate, arrivando a minacciarlo anche per lettera. Una volta si avvicinò al Capitano un uomo basso, con un cappello di pelliccia, che lo fissò con ostilità e aria di minaccia: Barton, che evidentemente lo riconobbe, ne rimase stravolto. Neanche l’intervento del Generale Montague, padre della fidanzata, riuscì a salvare Barton dalla vendetta di un uomo morto a causa delle sue azioni malvagie.
In questo racconto, rielaborazione del precedente The Watcher del 1851, è il senso di colpa a richiamare la meritata punizione (nonostante una ben costruita facciata di rispettabilità) e ad evocare l’intervento sovrannaturale. O meglio, probabilmente sovrannaturale: non a caso, Hesselius non si pronuncia.



Il Giudice Harbottle (Mr. Justice Harbottle): Un anziano creditore raccontò al corrispondente di Hesselius la storia di un fantasma che infestava una casa di Westminster: il «giudice impiccatore» Elijah Harbottle, che in vita ebbe fama di essere l’uomo più malvagio d’Inghilterra.
Nel 1746, Harbottle fu informato di una congiura giacobita contro i giudici e del pericolo che correva se avesse presieduto al processo al droghiere Lewis Pyneweck. Nessuno sapeva che Pyneweck era il marito separato di Flora Carwell, governante e amante di Harbottle. Il Giudice, quindi, non ebbe problemi a condannare l’uomo a morte. Qualche giorno dopo Harbottle fu informato del processo avviato contro di lui per aver falsificato le prove del caso e venne condotto in tribunale. In un viaggio surreale e spaventoso, il Giudice vide un suo defunto servitore, che aveva fatto arrestare per il presunto furto di un cucchiaio, e un enorme patibolo a tre bracci, con decine di impiccati, sopra il quale un boia sventolava una corda pronta per lui. In una tetra aula di tribunale, dove troneggiava il giudice capo Twofold, Harbottle fu accusato da Pyneweck e condannato a morte. Mentre due fabbri gli chiudevano attorno alla gamba un anello di ferro rovente, il Giudice si risvegliò nella sua casa in preda a un attacco di gotta. Ma sembra che il processo non fosse frutto della sua mente: il suo destino era segnato.
Insieme a Carmilla, Il Giudice Harbottle (anche questo rielaborazione di un precedente testo, ovvero An Account of Some Strange Disturbances in Aungier Street, del 1853) risulta il racconto più riuscito della raccolta. In un magistrale crescendo, Le Fanu vi tocca vette di puro orrore, in particolare nell’onirica, macabra visione della forca (la scena è ispirata a una nota incisione di Hogarth), del grottesco processo e delle torture sofferte da Harbottle. Il richiamo della realtà sensibile dell’attacco di gotta è un abile depistaggio per il lettore, che rimane sospeso nell’indecidibilità tra spiegazione razionale e aggressione spettrale. Quella dell’hanging judge è poi «un’efficace maschera», descritta con ironia pungente, che rimanda a storici oppressori e a un vero e proprio filone, inaugurato da Walter Scott e che vede Le Fanu tra i maggiori artefici (rimandiamo in proposito all’ampia trattazione di Franco Pezzini su Carmilla on line).



La stanza al Dragon Volant (The Room in the Dragon Volant): Nel 1815, nei giorni della caduta di Napoleone, dopo aver ereditato una piccola fortuna, il giovane inglese Richard Beckett si mise in viaggio per la Francia. Sulla trafficata via da Bruxelles a Parigi, il giovane prestò soccorso a una carrozza in difficoltà, invaghendosi della graziosa occupante nascosta da un velo nero. La sera, Beckett si fermò nella stessa locanda della dama, che riuscì a incontrare per pochi attimi, e strinse amicizia con il Marchese d’Harmonville. Questi gli rivelò che il nobile da lui soccorso era il Conte di St. Alyre, sposato a un’affascinante donna assai più giovane, che tormentava con la sua morbosa gelosia e della quale intendeva vendere i preziosi gioielli. Dopo aver salvato la Contessa e il marito dall’aggressione del colonnello Gaillarde, un ufficiale esaltato e un po’ matto, Beckett ebbe in dono una rosa bianca e una fugace parola d’amore.
Giunto a Parigi dopo un complicato viaggio, Beckett fu invitato dal Marchese a un sontuoso ballo in maschera a Versailles e condotto in una locanda fuori mano, Le Dragon Volant. Si diceva che il pittoresco e solitario edificio fosse infestato dagli spiriti e che vi fossero scomparse delle persone. Impegnato nel corteggiamento della Contessa, Beckett stava per diventare uno degli scomparsi, essendo stato preso di mira da un gruppo di truffatori senza scrupoli, e finendo, drogato e in catalessi, inchiodato in una cassa da morto.
In questo avventuroso (e non propriamente fantastico) romanzo breve lo stile si fa più brillante e scherzoso. Nella riuscita cornice di una Francia in rapido cambiamento, l’ingenuo sognatore Beckett affronta intrighi e misteri che si susseguono in una storia avvincente, nonostante la prevedibilità della trama. Comunque il capitolo finale della (quasi) sepoltura prematura del protagonista vale, da solo, la lettura (scena che riproporrà Dreyer nel suo Vampyr). Un orrore talmente grande da risultare inesprimibile l’esser sepolti vivi, come riconosce il protagonista: «Non proverò neanche a descrivere ciò che è impossibile descrivere, ossia le mille forme che assumeva l’orrore dei miei pensieri».



Carmilla (Carmilla): Vedi recensione del 27 ottobre 2013.

In a Glass Darkly mostra tutta la capacità narrativa ed evocativa di Le Fanu, impareggiabile maestro della ghost story in grado di trascinare il lettore d’oggi nel mondo vittoriano, per poi precipitarlo in realtà intangibili e spaventose. L’autore irlandese ambienta in maniera credibile le sue storie nella quotidianità ottocentesca, attualizzando il genere gotico; poi, con il comparire di uno specchio o di un infuocato tramonto, ecco fare irruzione il sovrannaturale, che risulta inspiegabile solo se non ricondotto a un reale mondo degli spiriti (una concezione esplicitamente swedenborghiana). D’altra parte, come riporta puntualmente Luca Manini nella prefazione, per la scelta del titolo In a Glass Darkly Le Fanu si rifaceva a un passo biblico, la prima lettera di san Paolo ai Corinzi: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa», in riferimento ai limiti della visione terrena, la quale non coglie che un’ombra della realtà. E attraverso le parole dei suoi personaggi e del «medico filosofo» Hesselius, primo detective dell’occulto della letteratura moderna, Le Fanu rivela l’esistenza di «un mondo spirituale, un sistema il cui operare ci è in genere pietosamente celato»: pietosamente perché si rivela per lo più «un sistema maligno, implacabile e onnipotente», di cui i protagonisti di questi racconti cadono vittime per certe peculiari abitudini e predisposizioni dell’animo. Personaggi che sono spesso animi solitari, ma che non si sottraggono alla società, di cui sono membri agiati e ben integrati, pur preferendo frequentare una ristretta cerchia di amici. Una buona società il cui perbenismo risulta spesso una facciata piena di crepe e, alla fine, fantasticamente smascherata.

Risorse Web:
Miraviglia Editore
Franco Pezzini, “Joseph Sheridan Le Fanu e le sorprese del tè verde”
Le Fanu su Carmilla on line
Le Fanu su Wikipedia
Le Fanu Studies