lunedì 9 novembre 2009

Autunnonero: Dracula

L’intervento di Franco Pezzini continua con la storia del Dracula teatrale: dalla lettura drammatizzata del romanzo, effettuata pochi giorni prima della pubblicazione davanti ad un pubblico raccogliticcio di personale del teatro, passanti e donne delle pulizie, alla prima versione teatrale di Hamilton Deane, adattata poi dal brillante giornalista John Balderston per il pubblico di Broadway.
La parola passa ad Antonello Panero, regista della prima versione teatrale italiana di Dracula. La pièce messa in scena dalla compagnia Thealtro è quella di Deane-Balderston, che fu portata al cinema da Tod Browning. Nella versione di Panero i tre atti diventano due, sono eliminati il prologo e l’epilogo, ma vengono lasciati molti dei dialoghi originali, eccetto qualche lode al divino e qualche ripetizione di troppo. Tra le parti oggi improponibili, il regista cita il prologo in cui il vampiro scivola a testa in giù sul muro esterno di una torre e la presenza di un improbabile personaggio femminile che si reca a Londra in piena notte per comprare della luparia.

Alle nove e trenta si parte con lo spettacolo. A Dolceacqua la scenografia di Marco Mancin è scarna e sfrutta gli stupendi sfondi naturali del castello. Lo spettacolo doveva avere luogo sotto le arcate del cortile, ma la pioggia ha voluto che fosse spostato nell’atrio. Le azioni sono concentrate in uno spazio molto più piccolo, che gli attori riescono, però, a gestire egregiamente (a tutti loro un meritato plauso per aver combattuto anche contro il freddo e il forte vento che soffiava tra le mura).
Iniziano le prime note di una musica malinconica e inquietante ed entra in scena l’infermiera Wells, interpretata da Patrizia Schneeberger. Il pubblico non può non preoccuparsi per la salute di Lucy, coinvolto dal padre, un dottor Seward decisamente convincente di Massimiliano Bortolan, e dal fidanzato, un Harker trasognato e pieno di umanità, reso splendidamente e con insolito spessore da Davide Bernardi. I loro discorsi vengono interrotti da Renfield, un magistrale Enrico Cravero, la cui risata fa accapponare la pelle ai presenti. Sfuggito per l’ennesima volta all’infermiere Butterworth (Fabio De Remigis), Renfield entra in scena mentre si scatena un vento furibondo nell’atrio del maniero, quasi ad annunciare l’arrivo di Dracula. «Io non me ne faccio niente delle anime, io voglio il sangue!», urla Renfield, mentre la sua folle risata riecheggia nelle sale del castello. Solo Van Helsing riesce a zittirlo. Massimo Chionetti funziona bene nei panni di questo personaggio votato alla scienza, ma scevro da un insensato “scetticismo a tutti i costi”. Il suo tono è magnetico, e mentre gira tra il pubblico, quasi lo convince mentre spiega che «la forza del vampiro sta proprio nel fatto che la gente comune non crede in lui».
Un sinistro presagio sembra portato dal tempestivo rintocco di campane della chiesa di Dolceacqua, che suonano poco dopo l’ingresso di Dracula. Federico Sacchi è il vampiro, meno accentuato del solito nell’aspetto sensuale e romantico, ma imponente sulla scena con i suoi due metri di altezza e il fisico asciutto: è un Dracula animalesco, aggressivo, spaventoso, dai lunghi capelli e il trucco marcato (opera di Alessio Piscini), ma al tempo stesso con lo sguardo perso in miraggi lontani.
Algida e “malata” nella veste bianca, aggressiva e carnale nell’abito rosso e col trucco marcato (dopo aver bevuto il sangue di Dracula), la Lucy di Veronica Stilla ammalia i presenti con un’interpretazione sensuale e coinvolgente.
Nel finale, il vampiro sconfitto urla la sua rabbia con profonda voce graffiata e grugniti animaleschi. Van Helsing può finalmente proclamare: «Cenere alla cenere, polvere alla polvere». Sulle note sognanti e malinconiche di Nature Boy di Nat King Cole, Dracula in trench rientra in scena e posa sul letto di Lucy una rosa rossa (simbolo dell’amore che dura oltre la morte), per poi sparire.

Quella di Dracula è una storia che, dopo aver conquistato tante platee, continua a piacere e ad affascinare, e la fedeltà al copione originale è uno dei motivi per cui l’opera di Panero convince pienamente. Molto del merito, però, va anche alla performance degli attori, che coinvolge e mantiente intatta la fortissima tensione psicologica che permea questa play. Per di più, lo spazio angusto dell’atrio ha contribuito a rendere lo spettacolo intimo e “magico”, facendo immergere più che mai gli spettatori nel racconto, a cui neanche le forze della natura sono rimaste indifferenti.

Risorse Web:
Cantando dietro i catafalchi di Franco Pezzini
Il Dracula di Panero su Facebook
Intervista a Panero
Recensione di In Tenebris Scriptus
Recensione di Splattergramma
 

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