sabato 16 gennaio 2021

Dampyr - N.250

Testata: DAMPYR, N.250
Episodio: PARADISO PERDUTO
Testi: NICOLA VENANZETTI
Disegni: VANESSA BELARDO
Copertina: ENEA RIBOLDI
Lettering: OMAR TUIS
Pagine: 96
Edizione: BONELLI, 01-2021

È in edicola il numero di gennaio di Dampyr, scritto da Nicola Venanzetti e disegnato da Vanessa Belardo.

Un gruppo di confratelli, dediti a una vita di meditazione e preghiera, vive in un luogo segreto e isolato sotto la guida di Raziel, un essere superiore che essi ritengono simile a un angelo o a un santo. La tranquillità del luogo viene d’un tratto distrutta dall’incursione di un gruppo di demoni condotti dal losco Valadesh, che uccidono molti dei mansueti abitanti. Uno di loro, fratello Rahn, si salva precipitandosi nello squarcio aperto dai demoni. L’uomo esce dalle grotte di Lombrives, in Occitania, in stato confusionale, ma viene trovato e curato.
Caleb viene incuriosito dal fatto che nessuna telecamera abbia ripreso Rahn mentre entrava nelle grotte. Per di più, osservando delle vecchie foto, Caleb realizza che l’uomo è identico al nazista Otto Rahn, morto nel 1939. Questi era l’autore del libro “Crociata contro il graal”, sulla lotta della Chiesa romana contro gli albigesi d’Occitania nel tredicesimo secolo, che sarebbero stati depositari del graal.
Emil e Harlan si recano quindi in Francia e trovano la collaborazione del professor Henri Jourdain, la guida delle grotte che ha portato in salvo l’uomo. Jourdain li conduce da Rahn, il quale racconta che riuscì a farzi sovvenzionare le ricerche da Himmler, ma in seguito, quando ripudiò il regime nazista, firmò la sua condanna a morte. Sul punto di essere giustiziato sulle Alpi austriache, venne però salvato dal misterioso Raziel, che aveva già incontrato nella sua caccia al graal e che lo portò su un’isola sospesa nel vuoto, dove viveva una comunità di catari sopravvissuti alla crociata del Duecento.
Ora il luogo è sotto lo scacco dei demoni di Valadesh, che lo hanno alla fine scovato. Nell’inevitabile scontro i seguaci di Raziel scopriranno un’amara verità sulla loro guida, che metterà a dura prova la loro fedeltà.

Nulla di miltoniano, oltre il titolo, in una storia che ha il merito di rispolverare e approfondire le figure misteriose e affascinanti dei naphidim, risultando l’elemento mitologico quello di maggior interesse del racconto. Tra i personaggi sono proprio i naphidim a risultare i più intriganti: su tutti, Raziel, portatore di contraddizioni, diviso tra la fedeltà al suo capo Nergal e la volontà di salvare i catari, che da strumenti manipolati diventano suoi protetti. Simile l’atteggiamento degli altri naphidim guidati da Gadriel, che pur obbedendo ad Abigor si rifiutano di tradire un loro fratello.
I disegni della Belardo sono abbastanza essenziali e funzionali, senza tanti fronzoli. Gli elementi di maggior pregio sono le figure alate dei naphidim, creature a metà tra angeli e demoni, che possono mostrare un volto orrendo e spaventoso o uno celestiale capace di conquistare adepti e seguaci, e i demoni inferiori con Valadesh, che appare come un diabolico Marilyn Manson dai denti aguzzi.



Risorse Web:
Pagina Facebook di Nicola Venanzetti
Blog di Vanessa Belardo
Sergio Bonelli Editore
Pagina Facebook di Dampyr

domenica 10 gennaio 2021

Vlad Dracula

Titolo: VLAD DRACULA
Titolo originale: DRACULA: VLAD THE IMPALER
Testi: ROY THOMAS
Disegni: ESTEBAN MAROTO
Copertina: E. MAROTO (chine), SANTI CASAS (colori)
Lettering: MP STUDIO
Pagine: 88
Edizione originale: TOPPS COMICS, 02/04-1993
Edizione italiana: MAGIC PRESS, 08-2019

Poco più di un anno fa, la Magic Press ha pubblicato un grande classico del fumetto vampiresco, finora inedito in Italia, realizzato nei primi anni Novanta da due mostri sacri come Roy Thomas e Esteban Maroto. È la storia, romanzata e raccontata in chiave epico-orrifica, di Vlad l’Impalatore, meglio conosciuto come Dracula.

Nato nel 1431, fin dall’infanzia Vlad imparò ad apprezzare la vista del sangue, tanto da assistere sempre in prima fila alle pubbliche esecuzioni. Il padre Vlad II Dracul, cavaliere dell’Ordine del Drago, principe della Valacchia e governatore della Transilvania, reggeva un territorio al confine tra Europa cristiana e Impero Ottomano, per cui era costretto ad alterne alleanze. Questa politica finì per suscitare il sospetto del sultano Murad II, che prese a dubitare della fedeltà del vassallo. Vlad dovette quindi rimanere “ospite” del sultano per circa un anno e lasciare come garanzia i figli Vlad e Radu alla corte di Adrianopoli. I due rampolli crebbero insieme al coetaneo figlio del sultano, Mehmed, Vlad imparando a combattere, Radu conquistato alle mollezze della corte.
In Valacchia, intanto, Vlad II venne spodestato e ucciso dai Dăneşti, guidati da Vladislav II, con l’aiuto di molti boiardi. Murad, contando di avere in lui un fido alleato, appoggiò Vlad come successore al trono. Vlad II Dracula, ossia figlio di Dracul, regnò sulla Valacchia solo per due mesi, mentre a Murad succedeva Mehmed II. Venne il momento in cui Dracula poté avere la sua vendetta: nel 1456 uccise Vladislav e si riprese il principato, mentre i traditori boiardi furono ridotti a schiavi per la ricostruzione di una fortezza sul fiume Argeş. In quel periodo giunse l’appello del papa Pio II al mondo cristiano per organizzare una crociata contro il sultano Mehmed, a cui Vlad fu tra i pochi sovrani a rispondere. La guerra contro i Turchi fu difficile e contò ingenti perdite da ambo le parti. Quando Mehmed, nell’inseguire le truppe valacche, si ritrovò nel mezzo di una foresta di ventimila turchi impalati, ne rimase talmente inorridito da ritirarsi con il suo esercito. Affidò a Radu la conquista della Valacchia, in una guerra che costò a Vlad il trono e la sposa Transilvania. Rivoltosi all’alleato re d’Ungheria, Mattia, Dracula non trovò aiuto, bensì una dorata prigionia.
Tra alterne vicende, Vlad riuscì a salire sul trono una terza volta nel 1476, anno in cui fu ucciso a tradimento da una spia durante una battaglia. La sua testa venne esposta su una picca a Costantinopoli, ma ben presto scomparve. La testa di Vlad fu riunita al corpo centocinquant’anni dopo nel monastero di Snagov da un discendente, deciso a risvegliare il nobile antenato.

Roy Thomas racconta la storia di Dracula con un taglio epico, tratteggiando Vlad come un eroe coraggioso e implacabile, animato dal fuoco della vendetta verso chi ha ucciso i suoi familiari e usurpato il suo trono. Ma questo è anche un racconto di guerra, e come tale presenta il suo bagaglio di brutalità, come erano brutali i tempi in cui agiva Dracula, difensore di terre che costituivano un conteso campo di battaglia. Basandosi sugli eventi storici, l’autore ricostruisce quindi la vicenda di Vlad Ţepeş ammantandola di leggenda e restituendola alla sua dimensione mitica, con tanto di finale orrifico che può fare da premessa a tutta la progenie dei Dracula stokeriani.
Questa edizione in bianco e nero, orfana dei colori dell’edizione originale ad opera di Paul Mounts, restituisce in tutto il loro splendore le chine di Maroto. I disegni dell’artista spagnolo, forti di un’abile sintesi dal sapore settantiano, sono molto dinamici, plastici nelle pose dei personaggi in atti guerreschi. Il tratto di Maroto è molto personale, talvolta evocativo ed evanescente, talvolta preciso e descrittivo, a seconda degli stati d’animo che l’artista vuole suscitare. Notevoli, in particolare, le tavole introduttive dei singoli episodi, strutturate a mo’ di frontespizio, e la tavola di pagina 32, in cui l’artista riassume i principali aneddoti sulla crudeltà di Dracula.
Un recupero encomiabile da parte della Magic Press di una graphic novel assolutamente imperdibile.

Risorse Web:
Roy Thomas su Wikipedia
Esteban Maroto su Wikipedia
Blog di Esteban Maroto
Magic Press Edizioni
La Topps Comics su Wikipedia
 

lunedì 4 gennaio 2021

AAVV, “Brucolaco il Vampiro Greco”

Titolo: BRUCOLACO IL VAMPIRO GRECO
Autore: AAVV
Anno: 1850-1933
Edizione italiana: ETPBOOKS, 2016
Traduzione e cura: MAURIZIO DE ROSA
Copertina: Giacomo Borlone de Buschis, Danza macabra (1485)
ISBN: 978-618-82656-1-5
Pagine: 88

La casa editrice ateniese ETPBooks ha dato alle stampe qualche tempo fa, in varie lingue, un’antologia di racconti di grande interesse, offrendo per la prima volta in Italia l’opportunità di leggere autori greci che tra secondo Ottocento e primo Novecento hanno trattato la figura del brucolaco, ovvero della versione ellenica del vampiro.

Dalla breve ma illuminante introduzione di Álvaro García Marín, apprendiamo che, nonostante le origini del vampiro letterario occidentale affondino nel folklore balcanico e orientale, la prima creatura vampiresca a comparire nella letteratura moderna fu il brucolaco greco: già ai primi del Cinquecento lo citava Antonio de Ferraris nel trattato De situ Japygiae. Dello scarso riconoscimento dell’influenza culturale di questa figura sarebbe in parte responsabile l’affermarsi tra gli intellettuali europei nei secoli scorsi di «una scala gerarchica e di valore tra la grecità “alta” dell’antichità e la grecità “media” e “bassa” […] contemporanea». Ne è prova il fatto che la fede ortodossa agli occhi degli occidentali veniva considerata «scismatica ed eretica», concezione alla cui luce appare emblematica la figura del brucolaco, simbolo del «rude materialismo superstizioso del cristianesimo orientale».
Nel Settecento il brucolaco diventava segno dell’arretratezza culturale della Grecia, com’è evidente nella Relation d’un voyage du Levant di Joseph Pitton de Tournefort, del 1717, che descriveva l’apparizione di un brucolaco a Mykonos nel 1700. Come testimoniano le opere di Byron e Polidori, nei primi decenni dell’Ottocento il brucolaco era ancora considerato capostipite dei vampiri, ma da allora iniziò una progressiva “slavizzazione” del non-morto. Saranno poi gli stessi greci a recuperare questa figura del foklore, a partire dal 1860, in buona parte grazie agli autori presenti in questa raccolta, i cui racconti, riconducibili al filone naturalistico e agreste dell’ithografia, furono pubblicati tra metà Ottocento e inizio Novecento.

Alèxandros Papadiamandis, Il fantasma
Nel vicolo del paese di un’isola greca dove vive la famiglia di Jannis, sembra si aggiri il fantasma di una donna musulmana, con il volto coperto dal velo. Un giorno la moglie di Jannis ha la sfortuna di incontrare lo spettro faccia a faccia, e torna a casa in preda al terrore e alla febbre. Da allora inizia a deperire e non sarà più la stessa, nonostante le preghiere del prete e le cure della suocera Pandelù. Poco dopo la famiglia viene colpita anche dalla disgrazia della perdita delle proprietà che costituiscono la fonte di reddito della famiglia.
La storia, datata 1890, risulta interessante soprattutto nello sviluppo dei rapporti famigliari. Figura centrale è la matriarca Pandelù, che dice di amare molto la nuora e la cura personalmente – salvo poi non preoccuparsi di alzarsi per accudirla di notte o di portarle una bevanda calda. Cruda e ironica la rivelazione finale, per cui la nuora, lasciata dall’autore significativamente senza nome, subirà le conseguenze dell’amore eccessivo della suocera.

Kostas Pasaghiannis, Il castello infestato
Nel cortile del castello diroccato di Dramalù crescono dei fichi, i cui saporosi frutti non vengono toccati dai vicini paesani perché si ritiene siano il cibo di un fantasma. Liakas, il giovane più coraggioso del villaggio, decide per sfida di andare a cogliere i fichi maledetti. Al tramonto il prete e due compaesani vanno a cercarlo e lo trovano privo di sensi. Le preghiere e gli esorcismi di padre Xydeas risultano inefficaci e questi conclude che il peccatore Liakas sia sotto il dominio di spiriti malvagi. Per evitare che si trasformi in brucolaco, il giovane viene seppellito, scelta che porterà gravi conseguenze.
È questo un racconto puramente fantastico, in cui l’autore lascia abilmente indeterminate le cause dello svenimento di Liakas, ma è soprattutto un delizioso ritratto della vita del villaggio, con le superstizioni e le credenze dei paesani, primo fra tutti il prete, vero colpevole della tragedia che vi si consuma.

Konstantinos Kazantzìs, La tomba
Nel cimitero di Archimandriò sorge l’imponente monumento funebre di Alexis Vasilìu, ricco e corrotto latifondista. Era stato lo stesso occupante ad averne condotto i lavori di costruzione: la tomba fu collocata in una cripta sotterranea chiusa da una porta di ferro, che venne poi ricoperta di terra. Sette anni dopo il funerale, i figli fanno recitare la messa di suffragio per il padre, rispettando la sua volontà di non far traslare i resti. Tre giorni dopo si verifica un nubifragio, e l’acqua dell’alluvione inonda il cimitero, trascinando davanti alla chiesa il cadavere di Vasilìu, rimasto in condizioni perfette: secondo i vecchi del villaggio la causa è la scomunica che l’uomo aveva subìto da vivo per la sua avidità.
La visione della vita che qui emerge, è basata su una commistione di superstizione e religione: in particolare è la scomunica ad avere effetti disastrosi. Anche chi deride le credenze e vive nel peccato deve attendersi una punizione oltremondana: gli infedeli non sono commemorati da nessuno e non ricevono messe di suffragio.

Achilleas Paraschos, Il figlio del brucolaco
All’epoca del dominio turco, a Livadià viveva la signora Rini, vecchia e apprezzata levatrice. Un sabato d’inverno, a mezzanotte, giunse a chiedere i suoi servigi un giovane vestito di nero, con occhi ardenti, lunghi capelli neri, e un volto barbuto e cadaverico. Dopo una cavalcata furiosa, i due giunsero a una caverna, e l’uomo avvisò la levatrice che se fosse venuto al mondo un maschio sarebbe stata per lei una notte fortunata, ma se fosse nata una femmina o se il nascituro non fosse sopravvissuto, la levatrice ne avrebbe sofferto. Mentre l’uomo divorava dei kòlliva, i dolci delle messe di suffragio, la levatrice aiutò la moglie a mettere al mondo un piccolo brucolaco.
Uno dei migliori racconti della raccolta, forte di un’atmosfera sinistra e macabra, per l’ambientazione tombale e soprattutto per il personaggio del brucolaco, spaventoso e inquientante. Questo vrykolakas è spietato e appare sorprendentemente moderno, simile per molti versi ai vampiri dell’immaginario contemporaneo. Anche qui emergono alcuni aspetti curiosi del folklore greco, come i dolcetti offerti per il suffragio, e il particolare significato attribuito alla notte del venerdì e ad alcuni giorni dell’anno.

Alèxandros Moraitidis, Kukkitsa
Un’isola greca. Padre Konomos, già vedovo, ha subìto di recente la perdita della figlia diciassettenne Kukkitsa. La ragazza era il suo braccio destro, tanto da guadagnarsi il soprannome di diaconessa, e aveva dedicato particolare cura alla cappella di Sant’Antonio, per la quale aveva ricamato la croce dell’iconostasi e in cui aveva provveduto alle pulizie e all’accensione dei lumini a olio. Konomos inizia a cercare conforto nella cappella, fermandovisi ogni sera al ritorno dai campi. Ma, notando che la cappella è sempre pulita e illuminata, tra le donne del paese inizia a girare voce che Kukkitsa sia tornata e che sia diventata un brucolaco.
Un racconto di grande delicatezza, in cui l’autore tratteggia con efficacia il dolore dapprima inconsolabile di Konomos, soprattutto in quadretti di vita quotidiana in cui si percepisce l’assenza, poi lenito da una serena accettazione, in virtù dell’intuizione di un’alternativa più confortante e consona alla vita di una ragazza beata rispetto alla trasformazione in brucolaco.

Questa antologia colma in definitiva un vuoto, nell’ambito di un filone letterario pressoché sconosciuto ma pieno di significati e implicazioni culturali. Qui emerge, infatti, una figura che è evidentemente alla base delle credenze da cui ha attinto la letteratura vampiresca, credenze finora poco considerate e studiate nella loro incarnazione ellenica. Inoltre i racconti, tutti di un certo spessore narrativo, offrono meravigliosi spaccati sulla vita della società contadina ellenica e sulle sue credenze magico-religiose.

Risorse Web:
ETPBooks
Scheda del libro sul sito dell’editore
Pagina su Achilleas Paraschos (in greco)
Pagina di Wikipedia sull’ithografia (in greco)