Si passa quindi all’intervento di Franco Pezzini, dal titolo Il divo. La maschera di Dracula e immaginario d’Occidente.
Pezzini parte con un excursus sulle motivazioni dell’attuale successo del vampiro, che, da personaggio eversore, si è trasformato in un paladino delle regole familiari e sociali: Edward Cullen non ha quasi più niente in comune con i progenitori del folklore. Come spiega Barber nel saggio Vampiri, Sepoltura e Morte (Nuova Pratiche Editrice, 1994), se un vero vampiro bussasse alla nostra porta, non lo riconosceremmo come tale, dato che vedremmo «un tipo vestito informalmente, per la precisione con un sudario, la faccia rossa e peli ovunque».
Ma il vampiro per antonomasia rimane sempre Dracula. Pezzini ci snocciola, quindi, dei gustosi e poco noti retroscena della stesura del romanzo, che doveva inizialmente intitolarsi The Un-Dead, per poi diventare Dracula (probabilmente su scelta dell’editore). Lo stesso nome del vampiro doveva essere inizialmente “Count ... Styria” (i puntini stavano a indicare un nome che Stoker non aveva ancora scelto, la cui collocazione geografica era un ammiccamento a Carmilla), poi “Count Wampyr”. Altri miti, sfatati in un saggio di Elizabeth Miller, sono le dicerie che Dracula sia il libro più stampato al mondo dopo la Bibbia e che l’idea della storia sia venuta a Stoker da un incubo provocato da un’indigestione di crostacei. Ciò che sembra ormai assodato, invece, è che Dracula sia stato un romanzo dall’enorme impatto popolare, al tempo stesso oggetto di un’avversione militante da parte della critica, pur avendo il merito di offrire uno spaccato dell’Inghilterra vittoriana più lucido e convincente di quello di romanzi ben più considerati.
Risorse Web:
Autunnonero
Ordine del Drago
Intervista a Pezzini
Gargoyle Books
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