Regia: TERENCE FISHER
Soggetto: JIMMY SANGSTER
Sceneggiatura: JIMMY SANGSTER, PETER BRYANT, EDWARD PERCY, ANTHONY HINDS
Interpreti: PETER CUSHING (J. Van Helsing), DAVID PEEL (Barone Meinster), YVONNE MONLAUR (Marianne Danielle)
Durata, Col., Orig.: 85’, C, GB
Produzione: HAMMER, HOTSPUR
Anno: 1960
TRAMA
Transilvania, tardo XIX secolo. Il conte Dracula è morto, ma i suoi discepoli continuano a divulgare il suo culto sanguinoso nel mondo.
La giovane parigina Marianne Danielle (Yvonne Monlaur) sta viaggiando alla volta di Badstein, diretta al collegio femminile dei Lang, dove ha avuto un incarico per insegnare francese e comportamento. A sua insaputa, durante una sosta per liberare la strada, dietro alla carrozza sale un misterioso uomo vestito di nero (Michael Mulcaster). La diligenza fa scalo in un piccolo villaggio presso il castello di Meinster, e Marianne ne approfitta per ristorarsi alla locanda del Cinghiale d’oro. L’uomo in nero dà delle monete al cocchiere, che parte in tutta fretta lasciando la giovane a piedi. Poi si affaccia alla porta del locale, che si svuota in pochi secondi di tutti gli avventori, mentre il locandiere Johann (Norman Pierce) nega di avere stanze libere. Poco dopo, in attesa della cena, Marianne vede entrare una distinta e anziana signora, vestita austeramente di nero e rosso. È la baronessa Meinster (Martita Hunt), che nota la difficoltà della giovane e la invita a passare la notte al castello.
Dalla sua stanza, Marianne vede un giovane (David Peel) su una terrazza più in basso. A cena la baronessa le spiega che si tratta del figlio, malvagio e malato di mente, che tutti credono morto. La notte, Marianne scorge il barone sul cornicione e lo raggiunge nel salone. Lui le mostra la catena con cui è tenuto prigioniero e le racconta che la baronessa lo ha fatto credere morto per mettere le mani sulla sua eredità. Marianne gli crede e accetta di aiutarlo. In una sequenza mozzafiato, si introduce nella stanza della baronessa, trova la chiave della catena e la consegna al barone.
Più tardi, la domestica Greta (Freda Jackson) mostra a Marianne il risultato del suo gesto: la baronessa è morta, uccisa dal figlio. La giovane scappa e viene ritrovata nel bosco, il mattino successivo, da Van Helsing, che più tardi la accompagna al collegio. Lo scienziato è giunto al villaggio perché chiamato da padre Stepnik (Fred Johnson), che sospetta i Meinster di vampirismo.
Ora che il barone è libero, cadono le prime vittime. Ma la baronessa, la figlia di Hans (Marie Devereux) e Gina (Andrée Melly), una collega di Marianne, tornano come vampire: è la prova che Meinster è uno dei non-morti. Il barone evidentemente non è ancora soddisfatto di avere solo due spose vampire (che vediamo risorgere in bianchi sudari nuziali), e si propone a Marianne, che, ignara della sua natura, accetta di sposarlo.
Per Van Helsing la lotta è durissima: per salvare la fanciulla dovrà affrontare le due vampire, la folle Greta e soprattutto il barone Meinster, che nel vecchio mulino riesce a vampirizzarlo…
CRITICA
Spesso si è parlato di questo film più per l’assenza di Christopher Lee (dovuta a mancati accordi con la Hammer) che per la sua qualità. E questo nonostante si tratti di un vero capolavoro del cinema gotico, «sontuoso, visivamente molto ricco, narrativamente pieno di sottigliezze e di torbide suggestioni» e «di una bellezza struggente».1
Certo, manca l’epico, elettrico confronto tra Lee e Cushing, ma per alcuni aspetti Le Spose di Dracula si può considerare anche superiore a Dracula il Vampiro: c’è una maggiore padronanza registica di Terence Fisher (l’estetica si fa più raffinata e definita), la trama è più lineare, il piano più umano del racconto coinvolge maggiormente e c’è una pregevole attenzione ai dettagli (azzeccatissimi i riferimenti al folklore, ad esempio nella reazione dei cavalli alla vicinanza di un vampiro).
I personaggi secondari sono tratteggiati magistralmente, come Meinster, «vampiro con la faccia di bambino» e membro di un’aristocrazia corrotta, e la serva pazza Greta, levatrice infernale che incoraggia la neovampira ad uscire dalla tomba con le sue forze.
I complessi rapporti tra i personaggi permettono molteplici chiavi di lettura: «tra tensioni edipiche, allusioni sessuali, simbolismi sul parto (la catena-cordone ombelicale) e sul motivo del reclamare una famiglia (le “spose” del vampiro), The Brides of Dracula rappresenta ovviamente un ghiotto oggetto di interpretazioni psicanalitiche».2
Altrettanto riuscito il personaggio della baronessa: triste, patetica, commovente per la sua solitudine e il suo dramma. «Può essere felice un pazzo?», si chiede pensando al figlio, madre infelice che non esita ad abbracciare il male per la sua prole. Ma in realtà sarebbe ben felice di accettare il conforto del Signore, se solo potesse. Tutto sommato è una vittima, che accetta di buon grado di espiare i suoi peccati.
Ma, più che la religione, è la scienza “illuminata” a portare conforto: non a caso sarà Van Helsing ad operare l’«intervento taumaturgico». La religione è usata, come nel film precedente, più come un’arma: «gli attrezzi sono religiosi, ma il loro utilizzo è esclusivamente secolare».3 D’altra parte i membri del clero si dimostrano assolutamente inadeguati di fronte all’avvento del sovrannaturale, oltre che privi di riguardo per le vittime del vampiro. Padre Stepnik, ad esempio, non esita ad ammonire duramente Hans, che ha appena perso la figlia: «Devi far conto che quella ragazza non sia mai stata tua figlia. Non è più tra i vivi e nemmeno tra i morti, che Dio ci aiuti!». E nega al povero cristiano di lasciarla sepolta in terra consacrata.
La prima parte del film è un vero tuffo nell’incubo per la protagonista Marianne e per lo spettatore, e risulta funzionale la parte centrale di alleggerimento (in particolare con i personaggi del dottor Tobler e del direttore del collegio Lang). Nella seconda parte del film, Peter Cushing domina incontrastato la scena, con una interpretazione «di grande confidenza, sottile e atletica».4 Lo scienziato dimostra grande premura e calore umano, ma sa essere duro e deciso quando serve (ad esempio con Marianne, per scoprire dove si nasconde Meinster). Qui il nemico di Van Helsing non è solo il barone, ma un vampirismo tribale, di gruppo, da cui viene temporaneamente contaminato egli stesso. Egli si trova al centro di un vero conflitto generazionale, in cui ricopre un ruolo paterno, mediatore «tra la severità dei genitori (che non funziona) e i costumi rilassati dei giovani (che li mettono nei guai)».5
In definitiva Cushing è l’insuperata incarnazione del personaggio di Van Helsing (sebbene altri attori ci abbiano regalato performance memorabili in questo ruolo), a differenza del suo collega Lee, la cui maschera di icona draculesca ha sempre dovuto rivaleggiare prima con Lugosi e poi con Oldman.
NOTE
1. Rudy Salvagnini, Dizionario dei film horror, Corte del Fontego, 2007, p.673.
2. Franco Pezzini e Angelica Tintori, The Dark Screen. Il mito di Dracula sul grande e piccolo schermo, Gargoyle, 2008, p.455.
3. Franco Pezzini e Angelica Tintori, Peter & Chris. I Dioscuri della notte, Gargoyle, 2010, p.246 (citazione da Harry Ringel, I doppi di Terence Fisher, in “Cinéfantastique” n.43, 1975).
4. R.Salvagnini, Dizionario dei film horror, cit., p.673.
5. Ken Gelder, Incontri col vampiro. Dalla Transilvania a Hollywood, Red Edizioni, 1998, p.157.
Risorse Web:
Scheda di Imdb
The UK Peter Cushing Appreciation Society
Peter Cushing, ascetico Van Helsing
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